Gli Elisir del Diavolo e il tema del Doppelgänger

Gli Elisir del Diavolo e il tema del doppelgänger

Gli Elisir del Diavolo e il tema del doppelgänger

La figura del doppio di uno spirito (in tedesco Doppelgänger) emerge dal tenebroso folklore teutonico, secondo cui ogni uomo avrebbe un’esatta ma di solito invisibile copia a cui è inscindibilmente connesso. Il Doppelgänger ci somiglia come un’immagine riflessa allo specchio, ma la sua natura è antitetica alla nostra.

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Le origini del mito
Il “doppio” nella letteratura e nell’arte tardo-romantiche, moderne e post-moderne
Il “doppio” nella riflessione psicologica moderna
Il “doppio” ne “Gli Elisir del diavolo” di  Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, 1815
La poesia Der Doppelgänger di  Heinrich Heine
Il “doppio” nell’era del virtuale

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Le origini del mito

Risalente a miti antichissimi, il “doppio” assume una connotazione particolare in moltissime culture, in cui l’uomo si è posto il problema della non-coesione della propria identità. Non è un caso infatti che l’Ombra, il Sosia, lo Specchio – intesi come proiezione autonoma del nostro Io – siano stati sempre soffusi da un alone di magia e mistero.

Lo stesso termine latino “imago-inis”, non è traducibile soltanto con “immagine”, ma anche con “parvenza, visione, sogno, apparizione”, con evidente allusione alla sfera del trascendente. Lo stesso dicesi per il termine greco antico εἴδωλον (èidolon), da cui deriva l’italiano “idolo”, traducibile con “immagine, simulacro” ma anche “apparizione, immagine spettrale di un vivente o di un morto”.

Lo specchio appare nella simbologia magica medievale come strumento divinatorio e di accesso al mondo delle ombre, e in tutta la tradizione sul mito dei vampiri secondo cui il non-morto non vi può vedere la propria immagine riflessa.

 

Il “doppio” nella letteratura e nell’arte tardo-romantiche, moderne e post-moderne

Il “doppio” come metafora del lato oscuro dell’uomo o come rappresentazione emblematica del male è un tema caro alla tradizione e alla letteratura tedesca, ma ricorre assiduamente nella produzione artistico-letteraria tardo-romantica e moderna di tutta Europa, con differenti sfumature (sosia, ombra o immagine allo specchio).

Alcuni fra i numerosi esempi:

il romanzo del 1796 Siebenkäs di Jean Paul Richter,

– Gli Elisir del Diavolo e Avventure della notte di San Silvestro di Hoffmann,

– La meravigliosa storia di Peter Schlemihl di Adalbert Von Chamisso (in cui il protagonista vende la propria ombra al Diavolo),

la fiaba L’ombra di Andersen,

la poesia Der Doppelgänger di Einrich Heine,

la sonata Der Doppelgänger per piano di Liszt

– Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde,

il racconto William Wilson di Edgar Allan Poe (dove il Doppelgänger punisce  il protagonista per le sue azioni malvage),

il Faust di Goethe,

il Sosia di Fedor Dostoevskij (in cui l’alienazione del protagonista lo porta a scontrarsi con il suo doppio che ne causa le sventure),

Frankestein di Mary Shelley (in cui il Dottor F. perde il controllo del mostro da lui creato, che in breve manifesta impulsi omicidi),

Lo strano caso del Dott. Jekyll e Mr. Hyde, di Stevenson, 1886, (storia di un anziano e stimato medico che si sdoppia in un affascinante quanto crudele alter-ego per poter dare sfogo alle sue pulsioni più abbiette)

e poi Rudyard Kipling (Sogno di Duncan Parrenness), Alfred De Musset (Due Amanti), Guy de Maupassant (Le Horla).

Nell’arte del ‘900 il tema del Doppelgänger trova la sua prima trasposizione cinematografica con il film Lo Studente di Praga del tedesco Stellar Rye (1913), e viene riproposto nel 1920, con uno stile più visionario, da un altro classico del cinema tedesco, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene; queste due pellicole inaugurano una serie innumerevole di opere cinematografiche girate in diversi Paesi, in cui il tema viene trattato con differenti stili e sfumature, dal cinema d’autore (es. La doppia vita di Veronica del polacco Kiewloski) all’horror (Shining, un classico d’oltreoceano, e il giapponese Ringu).

 

Il “doppio” nella riflessione psicologica moderna

Se nell’arte e nella letteratura il “doppio” è una metafora del lato oscuro dell’uomo, da sempre dilaniato tra Bene e Male, nel pensiero psicologico novecentesco il doppio rappresenta l’inconscio e quindi richiama alla mente Freud e tutta la riflessione psicanalitica.

Per la psicanalisi, il Doppelgänger è funzionale alla spiegazione dei fenomeni di straniamento e dissonanza cognitiva collegati allacrisi di identità.

Il tema del “doppio” è stato studiato con particolare attenzione da Otto Rank, allievo di Sigmund Freud, nella sua opera Il doppio (Der Doppelgänger) del 1914; egli collega l’improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia (il nostro “doppio”) all’emergere di paure rimosse come l’angoscia di distruzione dell’Io, e quindi della morte.

Freud riprende il concetto del “doppio” di Rank nel suo saggio sul Perturbante (Der Unheimlich) del 1919. Il perturbante è ciò che suscita spavento, inquietudine, perché non noto, familiare, quotidiano. Nel linguaggio psicanalitico la parola “perturbante” indica un disagio, uno sdoppiamento, riguardanti il soggetto, l’Io, e il suo inconscio, l’Es, in riferimento alla perdita di identità e all’alienazione. L’emergere improvviso di una figura di sosia è un’invasione dell’inconscio nel campo del conscio, un ritorno del rimosso che diviene perturbante.

Semplificando, per la psicanalisi il “doppio” è la parte “altra” di noi, ciò che siamo ma non conosciamo razionalmente.

 

Il “doppio” ne “Gli Elisir del diavolo” di  Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, 1815

Uno dei primi ad introdurre la figura del Doppelgänger quale inquietante proiezione dell’io e metafora del male nella letteratura europea fu Hoffmann, considerato da Freud “il maestro senza rivali del perturbante nella letteratura”. Appassionato di occultismo e studi cabalistici, affascinato dal tema dello sdoppiamento della personalità, nella sua opera effonde elementi afferenti al misterioso e al soprannaturale ma anche una minuziosa analisi della psicologia umana quale studio di animi dilacerati.

Il romanzo Gli Elisir del Diavolo è stato definito da Einrich Heine (autore della poesia Der Doppelgänger) un “campionario delle immagini più terribili e spaventose che lo spirito possa ideare”; un horror ante litteram, dove il mostro che fa più paura è quello si agita “dentro” al protagonista.

Esso può definirsi un romanzo gotico solo stilisticamente: lo slancio romantico del linguaggio e la cornice dalle tinte fosche costellata da antiche abbazie e castelli racchiudono infatti tematiche che trascendono i miti del Romanticismo (il soggettivismo rappresentato dall’eroe senza macchia di nostalgia medievale) e anticipano la riflessione del novecento sulla frammentazione dell’identità, l’angoscia moderna e la dissociazione pirandelliana della personalità.

L’intreccio è un viaggio allucinato e visionario attraverso cui  Medardus, un frate cappuccino sedotto dagli effluvi di un diabolico elisir custodito nel convento, via via precipita verso la dannazione e risale verso la catarsi secondo una linea discontinua che non pare mai risolversi.

Le tentazioni erotiche suscitategli da Aurelie, incontrata in confessionale, divengono blasfeme per il fatto che la giovane è identica alla  santa Rosalie rappresentata in un quadro dell’abbazia. La potenza seduttiva di questa immagine suscita in Medardus un dilacerante anelito di amore/morte: egli vorrebbe possedere Aurelie in quanto proiezione della santa, per poi ucciderla consacrando al demonio la sua anima.

Il finale rivela la predestinazione di Medardus ad espiare e redimere una colpa dei suoi avi, la cui parentela si intreccia a quella di Aurelie attraverso incesti e unioni degeneri; ma la decisione finale spetta solo al monaco, che in atmosfera onirica e surreale deve continuamente fare i conti con il suo lato oscuro, quel Doppelgänger scatenato dagli elisir che emerge come un’apparizione demoniaca.

Con questo romanzo Hoffmann distrugge l’archetipo umano prevalente nell’immaginario post-illuminista della sua epoca. Medardus è un Io privo di un centro preciso, simbolo di un’umanità dall’identità indefinita.

Lo sdoppiamento della coscienza e le continue trasformazioni fisiche e di personalità di Medardus, che riveste i panni di svariati personaggi in una complessa molteplicità di nuclei psichici, sono espressione di quel Romanticismo al suo tramontare che andava scoprendo sotto la fittizia unità dell’individuo non soltanto una dialettica freudiana di conscio e inconscio, ma un vero e proprio arcipelago dell’Io in continua mutazione.

Fonti:

C. Magris, Tre saggi su Hoffmann,

O. Rank, Il doppio, Milano, Sugarco, 1994;

Trevi, «Introduzione» a R. L. Stevenson, Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde, Milano, Feltrinelli, 1991.

S. Freud, Il Perturbante, trad. it. di S. Daniele, in Opere, IX, (1917- 1923), L’Io e l’Es e altri scritti, a cura di C.L. Musatti, Torino, Boringhieri, 1977.

 

La poesia Der Doppelgänger di  Heinrich Heine

Der Doppelgänger

Franz SCHUBERT (1797-1828) Aus “Schwanengesang” Text: Heinrich Heine (1797-1856)

Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen,
In diesem Hause wohnte mein Schatz;
Sie hat schon längst die Stadt verlassen,
Doch steht noch das Haus auf demselben Platz.
Da steht auch ein Mensch und starrt in die Höhe
Und ringt die Hände vor Schmerzensgewalt;
Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe –
Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt.
Du Doppelgänger, du bleicher Geselle!
Was äffst du nach mein Liebesleid,
Das mich gequält auf dieser Stelle
So manche Nacht, in alter Zeit?
English Translation by Anonymous

The night is calm, the avenues are quiet,
My sweet one lived in this house;
She has already left the city long ago,
The house certainly still stands, in the same place
And powerfully wringing his hands in torment.
It horrifies me, when I see his countenance,
The moon shows me my own form.
You my fearful double, you pale partner!
Why do you ape the pain of my love,
That has tortured me here in this spot
So many a night, in times long ago?
Traduzione italiana by Monica

Placida è la notte, le strade son tranquille,
La mia amata ha vissuto in questa casa;
Ha lasciato la città molto tempo fa,
Ma la casa è ancora qui, nello stesso posto.
Anche un uomo c’è, a fissare nel vuoto,

Torcendosi le mani con forza, in tormento.
Mi fa orrore, quando vedo il suo volto,
e la luna mi mostra la mia forma.
Tu mio doppio spaventoso, tu pallido compagno!

Perché scimmiotti la mia pena d’amore,
Che mi ha torturato qui, in questo luogo
Per così tante notti, in un tempo lontano?
Il “doppio” nell’era del virtuale

Lo sdoppiamento e la frammentazione dell’identità si configurano in modo del tutto nuovo nel secolo XXI. L’avvento di Internet e dei Social Network consente a chiunque di crearsi un’identità alternativa, virtuale, che, oltre a configurarsi come identità “pubblica”, permette di filtrare tutte le informazioni riguardanti il soggetto e di selezionare solo quello che si vuole rappresentare agli occhi degli altri. Il doppio virtuale è insomma un doppio “ripulito”, deontologico, mentre  ciò che è socialmente meno accettabile o inaccettabile rimane circoscritto al campo del reale. La tecnologia Mobile inoltre consente di essere costantemente online e di far vivere il nostro alterego virtuale in modo continuo e parallelo alla nostra vita quotidiana, condividendo con gli altri in tempo reale, anche attraverso immagini, quello che ci accade.

In modo analogo ma opposto la creazione di un doppio virtuale può essere funzionale alla manifestazione di desideri e pulsioni socialmente inconfessabili; al profilo ufficiale si sostituisce quindi un’identità fittizia attraverso la quale si rende possibile l’appagamento spesso solo virtuale degli istinti. A volte profilo ufficiale e identità virtuale fittizia coesistono proprio come nella realtà convivono personalità pubblica e lato oscuro dell’individuo.

Vi sono casi in cui l’individuo si crea identità virtuali multiple, rappresentanti ciascuna uno o più aspetti della propria personalità. Questo arcipelago virtuale di identità diventa quindi una mappa attraverso cui leggere e cercare di dare un senso alla frammentazione dell’identità di un individuo, che non riuscendo a trovare una coesione tra i propri differenti aspetti sente la necessità di rappresentarli separatamente, a seconda del target a cui si rivolge, proprio come un Pirandello post-moderno.

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