Parallelismi opposti tra Dostoevsky e De Sade

Premessa

Volendo dare uno sguardo ai best-seller dell’ultimo decennio, e scegliendo un po’ a casaccio, la tematica del sadismo viene trattata da due trilogie che anno avuto un enorme successo  di pubblico, quella del compianto Peter Hoeg, un robusto thriller di buona fattura, e il feuilletton erotico delle 50 Sfumature. In Hoeg essa è appena sfiorata: la troviamo alla fine del primo volume, quando a soluzione dell’enigma viene scovato il classico serial killer che tortura e poi uccide le sue vittime in uno scantinato; la ritroviamo nel terzo, con la descrizione agghiacciante della violenza e delle torture che la protagonista, una ragazza autistica savant, subisce dal suo tutore legale, arrestato poi per questi reati ma giudicato perfettamente in gradi d’intendere e di volere. Un sadico pazzo, nel primo caso, e un sadico perfettamente (o apparentemente) “normale” nel secondo.
La trilogia delle 50 Sfumature invece è stata, al di là del valore letterario dell’opera, un fenomeno sociale:  essa ha diffuso su larga scala la consapevolezza del fatto che accanto al sadismo come perversione esiste anche un sadismo come semplice inclinazione, che può essere incanalato in una più o meno sana relazione di coppia basata sulla fiducia della parte sottomessa e/o lo stabilimento di regole e limiti convenzionali. Vi sono state in passato altre opere che trattavano questo tema, ma  sono rimaste sconosciute al grande pubblico e per lo più sono state fruite da chi condivide questa inclinazione e magari popola il mondo sommerso degli ambienti sado-maso
Tutto questo per dire che la pulsione sadica, descritta da De Sade, studiata poi da Freud, è un tema ormai ampiamente trattato e sviscerato dalla letteratura, che ne descrive oggi anche gli aspetti accettabili, ma forse non tutti sanno che anche il grande scrittore russo Dostoevski ha dato il suo contributo in questo campo.
Presumo che le opere a cui ho accennato potrebbero essere lette tranquillamente da persone anche altamente impressionabili; raramente invece, nonostante il mio background di fruitrice di opere “black” di ogni sorta, sono stata toccata così profondamente dalla descrizione di scene di crudeltà e di sadismo come nella lettura di Dostoevsky. La visione di Hostel (film pessimo) e la lettura de Le 120 Giornate di Sodoma non mi hanno scalfita. Ma le crudeltà che lo scrittore di Mosca ha saputo immaginare (e non solo immaginare, ma di questo scriverò in seguito) mi hanno fatto più volte chiudere il libro. Questo perché negli esempi precedenti tutto è descritto con distacco. Mentre Dostoevsky soffre con le sue vittime, grida e piange e sanguina con loro.

Aspetti sadici e sadiani in Dostoevsky

La teoria che la pulsione sadica faccia parte della natura dell’uomo insieme a tutte le altre sue componenti inconfessabili fa parte della visione filosofica di Dostoevsky come di quella di De Sade, ma mentre De Sade giustifica i comportamenti che ne scaturiscono tramite un rovesciamento della morale (ben teorizzato in Justine, nel dialogo tra la protagonista e il frate), Dostoevsky li stigmatizza e li condanna irrevocabilmente.
Nelle opere degli anni ’50 e primi anni ’60 prevalgono i personaggi a tutto tondo. In Umiliati e Offesi (1961) ad esempio i protagonisti Vanja e Nataša possiedono le tipiche virtù romantiche alla Schiller, onestà, altruismo, dignità, passione, mentre l’anima nera del romanzo, il Principe, è un concentrato di tutti i peggiori vizi dell’umanità e per lui non può esserci redenzione né riscatto. Egli è il simbolo dell’ideologia Sadiana del libertinismo per cui, visto che Dio non esiste, la religione è un castello di bugie e non c’è vita oltre la morte, allora tutto è permesso, tutto ciò che conta è la soddisfazione dell’Io a scapito di chiunque. Questo individualismo assume, come in De Sade, una connotazione classista: esso si concretizza nelle vessazioni dei nobili e dei potenti a scapito delle classi più povere. Il Principe di Umiliati e Offesi trae particolare godimento dal sadismo psicologico: offese, umiliazioni, derisioni, oltraggi, manipolazioni, abbandoni di donne fatte innamorare per capriccio; ma non si fa pregare quando si tratta di far uccidere un servo a frustate per sedurne la moglie.
Il Marchese De Sade viene addirittura citato per essere paragonato ad una nobildonna dalla reputazione pubblica ineccepibile ma dedita al più assoluto libertinaggio nel privato.

Delitto e Castigo (1866) è un’opera che rivela una profonda maturazione di Dostoevski nonostante siano passati soli 5 anni dalla pubblicazione di Umiliati e Offesi. Il protagonista è uno studente povero, Raskolnikov, di animo mite e idealista, che diviene assassino per bisogno e per un ragionamento filosofico che lo porta ad autogiustificarsi. Non più un eroe romantico senza macchia come il Vanja di Umiliati e Offesi ma un personaggio contraddittorio e tormentato che si chiede: se uccido una malvagia usuraia che tiene in pugno me e tante persone povere, non faccio forse un gesto per il bene comune? Salvo poi scontare il suo delitto con tormentosi sensi di colpa che portano a crolli nervosi, incubi, malattie, e infine all’autodenuncia e alla redenzione attraverso lo sconto della pena. Questo mutamento è importante perché mostra come gli impulsi più efferati facciano parte della natura umana e siano radicati in ogni individuo, non solo appannaggio di ricchi e potenti che hanno la possibilità di esercitarli per il proprio piacere, o di viziosi che vi modellano sopra l’intera loro vita.
Nella seconda parte del romanzo infatti troviamo, ad avallo di questa tesi, la descrizione di episodi di puro sadismo ai danni di creature inermi, bambini, da parte dei genitori, e animali, da parte di povera gente che lo fa per ammazzare la noia: si tratta di alcune tra le pagine più atroci della letteratura di tutti i tempi L’anima nera di Delitto e Castigo però è il nobile Svidrigajlov, vero simbolo di libertinaggio alla De Sade, colpevole inoltre di svariati crimini tra cui l’aver stuprato e indotto al suicidio un’adolescente, uxoricidio, omicidio di un servo, pedofilia: un personaggio assimilabile al Principe di Umiliati ed Offesi, ma più sfaccettato, infatti alla fine si pente del male fatto e si suicida.

Ne I Demoni (1871) la natura contraddittoria dell’uomo e l’ambiguità dell’animo umano vengono analizzati in maniera estremamente moderna. Stavrogin, il protagonista, è a mio giudizio il più controverso dei personaggi dostoeskiani. Un tormentato insieme di vizi e virtù, presenta forti tratti sadici e persino masochistici. Il famoso capitolo “La confessione di Stavrogin”, a lungo censurato e pubblicato solo negli anni ’20, ha il suo momento culminante nel racconto al vescovo Tichon della seduzione e della morte della dodicenne Matriona. Stavrogin prova piacere nel vedere la madre punire la piccola frustandola, e si astiene dal rivelare ciò che la scagionerebbe per prolungarne la punizione. Rimasto solo con la bambina, sull’onda di questo turbamento la seduce, e quando capisce che ella, in preda alla vergogna, sta per impiccarsi, non fa nulla per fermarla. La confessione di Stavrogin è dettata dal rimorso che gli devasta l’animo,  ma egli non riesce a decidere se redimersi o continuare sulla via della perversione, dilaniato com’è da impulsi contraddittori di bene e male. Nel caso di Stavrogin, è l’irrisolvibile tensione tra luce ed ombra che genera un dolore talmente insopportabile da spingerlo al suicidio.
Il capitolo della Confessione chiarisce la tesi di Dostoevski per cui il male nasce dall’esaltazione del Sé individuale, e dal senso di libertà illimititata dato dall’ateismo e quindi dall’assenza di ogni regola, propugnata appunto da De Sade.

Questa tematica è ripresa e sviluppata appieno nel romanzo della maturità artistica di Dostoevsky, I Fratelli Karamazov (1880), nel famoso dialogo al ristorante tra Ivàn e il fratello Alëša, che ha intrapreso la carriera religiosa. Qui l’idea della libertà da ogni etica in assenza di fede perde del tutto la sua connotazione classista per risolversi definitivamente in una concezione antropologica: la crudeltà, l’efferatezza, il sadismo fanno parte integrante dell’animo umano e i loro impulsi possono essere soffocati soltanto attraverso la regolamentazione dei comportamenti che nasce dal timor di Dio. Questo non stupisce visto che nel frattempo anche le idee politiche di Dostoevski si erano spostate su posizioni più reazionarie.
Ivàn Karamazov però è il simbolo di una grande contraddizione, che lo rende un personaggio estremamente moderno. Al pari di un ateo, egli teorizza l’irresponsabilità delle azioni umane, l’homo homini lupus, l’autonomia della morale individuale, riconoscendo che la crudeltà è parte della natura dell’uomo; tuttavia soffre intimamente per le atrocità commesse dai suoi simili, soprattutto ai danni delle creature più deboli. Il suo ateismo è una ribellione verso Dio più che una mancanza di fede, il “Buon Dio” che permette che piccole creature innocenti vengano torturate mentre l’umanità è anestetizzata dalla religione che la fa sperare in una redenzione finale.
Per sensibilizzare l’animo del fratello Ivàn racconta alcuni episodi in grado di scuotere veramente il lettore che lo stesso Dostoevski aveva letto su giornali russi dell’epoca: episodi veramente accaduti e che coinvolgono persone di tutti i ceti sociali. La loro descrizione è talmente particolareggiata e talmente sentita sia dal punto di vista delle vittime che dei torturatori che a  Freud apparve morbosa tant’è vero che definì Dostoevski un masochista con anche pulsioni sadiche.
In queste pagine viene teorizzata l’esistenza del vero e proprio istinto sadico come impulso a trarre piacere dall’infliggere dolore: “So di sicuro che certuni, quando picchiano, si infiammano ad ogni colpo fino all’eccitazione fisica, letteralmente all’eccitazione fisica, che cresce ad ogni colpo, progressivamente”.
La teoria morale di Dostoevsky, rappresentata da Alëša Karamazov, è chiara e si rifà all’etica cristiana come unica risposta agli istinti bestiali connaturati all’uomo; la contraddizione di Ivàn invece non trova risoluzione, ed egli ne impazzisce.
Così, mentre De Sade, teorizzando l’esistenza nell’uomo di istinti sessuali opposti (Eros e Thanathos come li chiamerà Freud, conservazione e distruzione), arriva al nichilismo e quindi al pessimismo, a una visione effimera della felicità, Ivàn simboleggia l’inconciliabilità di questa opposizione, e diventa l’alter ego dell’autore, la parte di lui che non può chiudere gli occhi sui mali del mondo e che quindi dubita di Dio.

“Devi sapere, novizio, che le assurdità sono necessarie sulla terra. Il mondo si regge sulle assurdità e senza di esse forse non sarebbe mai accaduto niente sulla terra. Noi sappiamo quello che sappiamo!”

(Ivàn Karamazov)

 

3 pensieri su “Parallelismi opposti tra Dostoevsky e De Sade

  1. L’articolo è molto interessante e analizza con attenzione la questione del sadismo e va anche oltre in questa ricerca a tutto campo.
    Meriterebbe di essere ampliato questo articolo, sondando più a fondo alcuni elementi, quali la religiosità, che in realtà non è un freno, tranne che per gli spiriti semplici.
    Il sadismo ha molte sfaccettature e non esiste un sadico uguale all’altro, nemmeno nell’origine delle pulsioni.
    La porta che apre l’inclinazione sadica a realizzare appieno la propria soddisfazione, è la ragione spinta alle sue estreme conseguenze.
    Piacere e morte non sono naturalmente presenti in ogni individuo, nemmeno inconsciamente, anche se George Bataille ne fa un assioma universale nel suo Homo Eroticus.
    In De sade, i personaggi non hanno nessuna personalità e le loro espressioni sono semplicemente dislocazioni di muscoli, cosa del tutto differente in Dostoevski, dove i personaggi hanno un anima e un corpo.
    De Sade teorizza ma in realtà non è un vero sadico e infatti nella sua vita non ha esercitato il sadismo che solo in piccole e innocue cose.
    I suoi scritti hanno la caratteristica della provocazione e privi di ogni sensualità, tanto da somigliare a interventi chirurgici ben sterilizzati.
    I suoi scritti sono azione, mentre quelli di Masock, sono quadri e azioni nell’atto di compiersi … inazione, e il piacere nasce in quel che deve venire.
    Indubbiamente sono sensuali i suoi scritti e si sente che ne fa parte con tutta l’anima e è un vero masochista.
    Sadismo e Masochismo sono complementari ma, il discorso si fa lungo …

  2. Trovo molto interessante l’articolo, che rende merito all’assenza di passioni in De Sade, dove infatti, i suoi personaggi non hanno espressioni e anima, ma solamente “dislocation des muscles” sui loro volti, mimano emozioni fredde e calcolate.
    Il sadismo è infatti “azione”, diversamente dal masochismo, dove si celebra l’azione nell’attimo precedente alla sua realizzazione, in un sottile gioco psicologico in cui entrambi sono immersi nello stesso oceano nel quale si costruiscono immagini e la vittima vive attraverso gli occhi del carnefice e viceversa, come dentro specchi rovesciati.
    Nel masochismo la crudeltà è apparenza ma, nel sadismo è concretezza.
    Il vero sadismo è quello postulato da Sade, organizzato e sorretto dalla ragione pura spinta alle sue estreme conseguenze.
    Il sadismo presentato da Dostoevskij è impuro, poiché soggetto a pulsioni umane e morali in un contraddittorio costante.
    I personaggi di Dostoevsky sono immorali e quelli di Sade, amorali e la differenza è sostanziale.
    L’articolo è molto ben fatto e merita di essere letto e analizzato con attenzione per le diverse acute analisi che lo alimentano.
    Complimenti

    • Grazie signor Enea, soprattutto per le sue interessantissime riflessioni, con le quali concordo,.
      Solo una sua frase mi lascia perplessa: cosa intende laddove afferma che “Piacere e morte non sono naturalmente presenti in ogni individuo, nemmeno inconsciamente”?
      Potrebbe chiarirmi meglio questo passaggio?
      Grazie
      Monica

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